Continua con il “Decreto Dignità” l’aumento di confusione per gli imprenditori alle prese con incessanti normative correttive ed integrative, modificative ed interpretative. Già è difficile produrre e maturare profitto; aggiungiamo le preoccupazioni per l’eventuale riaccendersi dei contenziosi e l’ulteriore aggravio di costi burocratici. Quale può essere il beneficio per i lavoratori?
Era davvero necessario interferire nella lenta e faticosa ripresa? Proprio nel mercato del lavoro dove il sommerso non riesce ad emergere, sopratutto per le attività minori.
Il decreto apporta incertezza e confusione sulla applicazione dei contratti a termine, con un aggravio dei contributi al rinnovo. Quindi una penalizzazione per chi dà lavoro confermandolo.
Ora occorre puntualizzare nel contratto la causale, difficile sopratutto per i ruoli flessibili e pluriformi tipici delle microimprese, in particolare per le somministrazioni e le attività stagionali.
Per non parlare degli indennizzi sui licenziamenti, mina nascosta che minaccia anche i contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti, reinserendo di fatto il peso dell’articolo 18, che prima non riguardava le piccole aziende.
Questo tipo di decreto, come ogni decreto, non crea occupazione, ne complica l’affermazione.